Tra gli strumenti che, nell’analisi Cies, meriterebbero attenzione (leggi adeguata sperimentazione) proprio lo strumento del Reddito Minimo, molto spesso “soffocato” da critiche che vedono alcune problematiche come insormontabili e che costituiscono un’alibi per evitare di affrontare alcuni nodi critici
L’ultimo rapporto Cies ( Commissione d’indagine sull’esclusione sociale) presentato a luglio non fa sconti nel fotografare una situazione Paese, ormai a tutti gli effetti, di emergenza. Il lavoro, preso come proxy per la valutazione, è stato promosso a “emergenza sociale” in un sistema che ha sostenuto, in prima battuta, gli effetti della crisi grazie a due forme di ammortizzatori tipicamente italiani: la cassa integrazione, che ha salvaguardato la figura del cd breadwinner (il capofamiglia) e la famiglia, che ha fatto da paracadute per i giovani precari, i più colpiti della crisi. Una crisi definita selettiva che ha colpito le fasce più deboli della popolazione, in primis giovani ed immigrati, lasciati completamente soli e senza una qualche forma di ammortizzatore sociale, questi ultimi spesso liquidati come inutili e poco efficaci in maniera del tutto arbitraria ( vedi il Libro Bianco del Welfare promosso dal Ministro Sacconi). Tra gli strumenti che, nell’analisi Cies, meriterebbero attenzione (leggi adeguata sperimentazione) proprio lo strumento del Reddito Minimo, molto spesso “soffocato” da critiche che vedono alcune problematiche come insormontabili e che costituiscono un’alibi per evitare di affrontare alcuni nodi critici che certo non si possono negare: occupazione irregolare e sommersa, elevata disoccupazione, bassa legalità, ridotta capacità istituzionale dei contesti amministrativi che doverebbero erogare la prestazione e gestire i programmi di inserimento. Si tratta senza dubbio di tutte questioni da risolvere ma, come cita lo stesso Rapporto, ” anziché prendere coscienza dei fattori che rendono l’azione di politica pubblica più difficile, e tenerne conto al fine di progettare azioni volte al loro superamento, o contenimento, se ne prende atto al mero scopo di giustificare l’inazione”.
Nodi critici
Ma quali le proposte per il loro superamento? Il Cies cerca di orientare partendo dagli errori commessi nelle precedenti sperimentazioni: anzitutto, nel disegno della componente monetaria, la mancanza di considerazione delle disparità del costo della vita fra comuni di dimensioni diverse e la mancata adozione dell’Isee per la prova dei mezzi; scarse e carenti capacità infrastrutturali, progettuali e attuative degli organi incaricati della prova dei mezzi; non dotare i comuni di poteri supplementari nelle materie dei controlli relative a reddito e patrimonio dei richiedenti; la scala comunale si è rivelata del tutto inefficace nella progettazione e gestione dei programmi di inserimento lavorativo; il successo o il fallimento è stato valutato unicamente sulla base dei tassi di reinserimento lavorativo dei beneficiari.
Quest’ultimo punto apre la questione di come una male interpretazione dello strumento reddito minimo possa confondere le azioni da farsi: occorre specificare che la funzione fondamentale di uno schema di reddito minimo è quella di fornire una garanzia di risorse sufficienti a chi si trova in condizioni di povertà, e non “primariamente” quella di creare opportunità lavorative per i beneficiari. E’ importante in merito non creare confusione con i sussidi alla disoccupazione, uno schema di reddito minimo e gli schemi di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione svolgono due funzioni distinte: il reddito minimo è rivolto a combattere la povertà e a fornire percorsi di integrazione sociale, scolastica oltrechè lavorativa e formativa, come tale non si rivolge primariamente a soggetti che hanno perso il lavoro anche se tra i suoi beneficiari possono esservene; gli schemi di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione dovrebbero invece rivolgersi ai soli soggetti che hanno perso il lavoro. In ogni caso, riprendendo le parole del Cies, “la prestazione di reddito minimo dovrebbe costituire il pavimento inferiore delle prestazioni di disoccupazione riformate, eventualmente tenendo in considerazione per la loro entità la composizione della famiglia del disoccupato.”
Prospettive
Specificato il senso e le criticità nel dotarsi di uno strumento quale il reddito minimo, il Cies tenta di declinare presupposti operativi per un suo buon utilizzo. Anzitutto dovrebbe rientrare tra i livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti sociali che lo Stato ha la potestà di fissare, attraverso legge statale come sancito nella L.42/09 di attuazione del federalismo fiscale, ma sul quale siamo ancora in notevole ritardo (d’altronde si tratta giusto dei diritti sociali esigibili), è auspicabile la previsione di soglie di accesso differenziate a seconda del costo della vita pertinente al territorio di erogazione e, riferito alla gestione della prova dei mezzi, l’adozione di strumenti e accorgimenti standardizzati quali l’Isee e la possibilità ulteriore di valutazione delle condizioni economiche attraverso i consumi. E’ necessario individuare gli ambiti territoriali previsti dalla legge 328 del 2000 come il livello territoriale più adeguato ad amministrare uno schema di reddito minimo e i programmi di inserimento connessi: dal punto di vista operativo dovrebbero essere i servizi sociali dell’Ambito territoriale a prendere in carico il beneficiario elaborando un progetto di inserimento personalizzato. Per svolgere tali compiti occorre quindi personale esperto ad essi dedicato e non personale amministrativo esistente: tutto questo si rivela tanto più necessario in quanto i servizi sociali dovrebbero anche gestire, nell’ambito degli aspetti di integrazione lavorativa, le relazioni sia con i Centri per l’impiego, sia con altri attori del sistema del lavoro quali le Agenzie private per l’impiego. Ciò significa che occorre prevedere un cofinanziamento del livello statale per l’acquisizione (o la formazione) di personale dedicato. Infine la predisposizione e la gestione dei programmi formativi e lavorativi deve quindi essere compito degli attori pubblici specializzati in tale attività: i Centri per l’impiego provinciali. La governance del sistema dovrebbe restare però in capo ai servizi sociali degli Ambiti territoriali che dovrebbero indirizzare gli abili al lavoro ai locali Centri per l’impiego, i quali dovranno poi predisporre dei programmi personalizzati di inserimento al lavoro, formativo e di riqualificazione professionale che vada a formare parte integrante del progetto di inserimento approntato dai servizi sociali.
Conclusioni
“L’affermazione dell’impossibilità pratica di un reddito minimo in Italia appare priva di fondamento empirico e come tale meramente strumentale a legittimare l’inazione”. Superato quindi il superficiale commento di una sua inapplicabilità a monte si tratta di guardare avanti per risolvere l’intreccio delle questioni emerse, così come fondamentale tenere a mente la consapevolezza che l’efficacia dipende in modo cruciale dalle capacità amministrative. Nel chiudere le proprie raccomandazioni il Cies rende consigliabile non l’ennesima sperimentazione ma un’introduzione per fasi successive così da dar modo alle amministrazioni di risolvere i problemi attraverso l’esperienza e guardare altrove vista la possibilità, dovuta a un nostro ritardo, di imparare dall’esperienza altrui ( Francia e Gran Bretagna).
In conclusione non si può prescindere dalla necessità di una riforma generale delle prestazioni di protezione sociale: uno schema di reddito minimo dovrebbe essere parte integrante di una riforma del welfare italiano che accentui l’offerta dei servizi alla famiglia, costruisca un sistema generalizzato di ammortizzatori sociali e riveda radicalmente gli istituti di sostegno monetario evitando facili fughe verso la privatizzazione celata dietro nomi ridondanti ( welfare delle opportunità…etc.)
Ilaria Lucaroni Phasi – Università di Bologna